Vacanze di Natale, avere, fare, Fromm e Csikszentmihalyi

3 gennaio 2011

E’ Natale e ci sono da fare i regali. Ok, salvo che per mia moglie e mia figlia, per me fare i regali è una gran rottura di scatole. Ad essere onesti anche riceverli non è tutto ‘sto gran che. Soprattutto perché quando voglio davvero una cosa la compro, sempre che rientri nel mio budget culturale, ideologico ed economico. Ad esempio, in effetti mi piacerebbero una casa e un’auto più grandi e costose, ma a) non ho tutti quei soldi da spendere e b) non lo ritengo corretto sul piano ideologico: quelle che ho vanno più che bene. Insomma a Natale vivo una tensione tra l’obbligo morale di dover fare i regali (e cerco di fare proprio quelli strettamente “necessari”)  e l’ansia di ricevere delle cose di cui non ho affatto “bisogno” (vedi uno dei post precedenti). In effetti da ragazzino ho letto “Avere o essere” di Erich Fromm e l’ho anche riempito di sottolineature da tanto che ero convinto che fosse una ganzata di libro. E questo spiegherebbe il mio disinteresse per i regali: dare e ricevere oggetti non mi sembra il miglior modo di festeggiare una ricorrenza. Di certo non è il modo per sentirsi migliori.

In compenso in queste vacanze ho “fatto” delle cose: ho fatto da mangiare, ho pedalato e ho fatto i compiti insieme a mia figlia. Abbiamo fatto i biscotti alla cannella, il pane di segale, la salsa guacamole, la spuma di prosciutto. Non tutto nella stessa cena, ovviamente. Ho ripreso la bicicletta e anzitutto ho fatto manutenzione, pulito i componenti, riparato una o due forature, ho cercato su internet notizie e informazioni su una bici nuova e – soprattutto – ho pedalato su e giù per la spiaggia e dentro la pineta per rimettermi in forma. E poi ho fatto i compiti con Greta: 5 parole con la GN, 5 con la GL, 10 con l’accento e così via. Fare i compiti significa realizzare una piccola cosa che prima non c’era e che si crea nel momento in cui un bambino esercita un certo sforzo mentale, un po’ di nozioni acquisite e la sua creatività. Una piccola cosa che appena “fatta” perde il suo interesse immediato e il suo valore in quanto l’importante dei compiti sta nello sforzo di farli e non nel risultato in sé e per sé. E infatti il voto della maestra non è un voto per il compito svolto, ma per il come è stato svolto: tant’è che copiare è vietato e farsi aiutare (troppo) dai genitori anche. Un po’ come per un biscotto alla cannella: il divertimento (il valore) sta nell’impastare e nel ritagliare la sfoglia con gli stampini. Se poi sono anche buoni, bene, ma chiedete a mia figlia se preferisce sgranocchiare il biscotto o sporcarsi fino ai gomiti per impastare uova, farina, burro ecc. E lo stesso dicasi per la bicicletta: il divertimento è riparare, pulire e pedalare, non “avere” o possedere la bicicletta. Anche se in questo caso, l’oggetto assume una certa importanza, visto quanto costano certe biciclette che ci sono in commercio e che – onestamente – mi piacciono assai.

Fare i compiti, cucinare e pedalare sono attività che hanno una dimensione negativa: per molte persone e in molte circostanze possono essere viste come un obbligo, una necessità, un costo o un sacrificio. Mentre per altre, o per le stesse persone in circostanze diverse, possono assumere il ruolo di passatempo e divertimento. In questa seconda prospettiva, queste attività di consumo costituiscono forme di esperienza che hanno a che fare con le proprietà dei prodotti coinvolti solo in parte, ma – anzi – hanno molto a che fare con la persona e con le sue continue trasformazioni. Gli ingredienti delle ricette, la bicicletta e le matite di Greta sono strumentali per lo svolgimento di attività che sono quello che veramente ci interessa e devono piegarsi alle nostre esigenze di cucinare e mangiare, pedalare e sentirci meglio e imparare. Questo ribaltamento di prospettiva avviene tutte le volte che riusciamo a vedere i nostri oggetti come uno “strumento” per l’ottenimento di una condizione personale migliore che dipende da quello che facciamo. Questo è il processo alla base del soddisfacimento dei bisogni che  Csikszentmihalyi chiama “esperienziali”, cioé quelle attività che svolgiamo con impegno e immedesimazione e che ci allontanano un pochino dalla vita quotidiana e contribuiscono a migliorare il nostro rapporto con noi stessi e con gli altri, tipo leggere, fare collezioni, bricolage, giardinaggio, ecc. I bisogni esperienziali sono contrapposti da questo psicologo americano, molto famoso ma dal nome impronunciabile, ai bisogni esistenziali ovvero a quei bisogni che gli umani usualmente soddisfano attraverso il mero possesso: compro la bicicletta (auto, casa, barca, cravatta) nuova e mi sento meglio per il semplice fatto di averla. E qui si torna indietro a Fromm: avere per essere è una parte importante della nostra vita, ma non esaurisce il nodo del nostro benessere, altrimenti non si spiegano i ricchi depressi, i benestanti insoddisfatti e aggressivi e – soprattutto – le statistiche sul benessere e la felicità a livello aggregato che ci dicono che i popoli ricchi non sono necessariamente (molto) più felici di quelli poveri o quantomeno che la relazione tra disponibilità e felicità non è lineare.

Perciò, la lezioncina di queste vacanze di Natale è stata che “fare cose” è piuttosto soddisfacente: non cose esaltanti o straordinarie, ma piccole cose, ripetute e quotidiane. E’ paradossale scriverci sopra un post come questo e andare a cercare citazioni dotte, eh? Dovrebbe essere così evidente ed elementare, come guardare negli occhi tua figlia che impara a scrivere le parole con la GN.

Fromm, E., 1976, To have or to be? (trad. it.: Avere o essere?, Milano, 1977)

Csikszentmihalyi, M, 1975, Beyond Boredom and Anxiety: Experiencing Flow in Work and Play