Autenticità

19 ottobre 2010

Qualche giorno fa mi hanno invitato a parlare di autenticità e turismo: qui. E’ stato divertente perché ho parlato di cosa pensa il consumatore dell’autenticità e di come cerca di raggiungerla quando decide di andare in vacanza, per un tempo più o meno lungo. Mi sono fatto spiegare alcune cose da Matteo Corciolani che di autenticità ne sa parecchio più di me perché ci ha fatto la tesi di dottorato, con applicazioni in campo musicale: un assaggio qui e qui. La ricerca di autenticità in campo turistico è interessante anche perché è proprio in questo settore che si è sviluppata la letteratura, prima che in altri, in particolare da Boorstin (1961) e MacCannel (1973). Poi il discorso si allarga ad altri settori fino a che se ne impossessano i consulenti (Gilmore, Pine, 2007).

La questione in campo turistico assume un rilievo del tutto particolare

perché vede incrociarsi numerosi piani attraverso i quali il consumatore ha l’opportunità di addentrarsi in esperienze più o meno autentiche a seconda delle risorse che l’ambiente gli mette a disposizione, ma anche in funzione del suo ruolo nell’utilizzare queste risorse, da solo o insieme ad altri. La discussione con gli operatori di settore è interessante perché si capisce come spesso sia difficile per chi opera sul territorio spogliarsi delle proprie radici e delle proprie idee pre-costituite per mettersi nei panni dell’utente e assecondarlo nella sua ricerca di autenticità. Una delle questioni più delicate, ad esempio, è quella del “fondamentalismo” e cioé di quella tendenza che spesso hanno gli operatori, ma anche i soggetti che governano il territorio o che forniscono servizi e strutture di supporto, a imporre la propria idea di autenticità ai consumatori/turisti.

Per fare un esempio, noi toscani (sempre che questa parola abbia

un senso che va al di là della geografia) pensiamo che il nostro territorio abbia delle proprietà straordinarie e pensiamo che i turisti stranieri, o anche solo di altre regioni italiane, dovrebbero apprezzarle secondo i nostri canoni e secondo le nostre regole, cosa che spesso non è e non può essere. Se la vediamo dal punto di vista opposto, il turista straniero, o soltanto padano, si è fatto un’idea della Toscana alla quale è affezionato ed è quella che vuole trovare quando viene da noi, indipendentemente che l’idea che si è fatto sia vera, veritiera, verosimile o anche un banale stereotipo. Bisogna anche capirlo, poverino, lui va al cinema e gli fanno vedere Sotto il sole della Toscana o Il ciclone, diversi, ma pieni zeppi di stereotipi assai poco credibili. In queste condizioni può capitare che il consumatore resti sorpreso e a volte negativamente dalla discrepanza che si viene a creare tra la sua immagine del luogo che sta visitando e i riscontri delle persone che incontra, soprattutto se cercano di smontare il “suo” ideale di autenticità per crearne uno nuovo. Ai consumatori non piace sentirsi dire che la loro idea di “prodotto ideale” non è veritiera e non risponde a quanto si è in grado di offrirgli. … Da qui a creare una realtà artificiosa e fatta apposta per un turista superficiale e ignorante ce ne corre, ma sarebbe comunque interessante approfondire anche questo lato (oscuro) della questione. Il termine fondamentalismo l’ho ripreso da Bernard Cova che di queste cose è piuttosto esperto (Cova, 2003; Cova, Cova, 2003; Carù, Cova, 2007). In particolare da questo video del 2009:

Le parole di Bernard sono molto chiare ed esprimono bene come le persone si avvicinino alle proprie esperienze autentiche, che diventano tali proprio se rispondono a un criterio di natura personale e soggettiva. Che può essere supportato da risorse, servizi e persone che dall’esterno aiutano il consumatore a perseguire una strategia esperienziale che – giova ripeterlo – resta personale e soggettiva. In particolare sono almeno tre i livelli in corrispondenza dei quali l’individuo cerca l’autenticità nelle proprie esperienze di consumo:

  1. Oggetti e risorse naturali che possiedono proprietà autentiche intrinseche: le opere d’arte di un museo (possibilmente vere), i monumenti, i paesaggi e le risorse culturali di un luogo. Oggetti e risorse che hanno proprietà metafisiche che si trasferiscono sulla persona, trasformandola, quasi che tornando a casa si portasse via il loro profumo e la loro energia. Esistono accessori e oggetti replica di scarsa autenticità intrinseca che però aiutano questo processo: il merchandising, i souvenir, la cartoleria dei bookstore dei musei, ecc.;
  2. Situazioni ed eventi che trasformano l’individuo e lo rendono diverso: trasformarsi significa mettere alla prova il proprio sè più profondo, la propria identità. In certe condizioni, non servono oggetti e risorse di per sé autentici: anche un fine settimana a Rimini o un viaggio a Las Vegas (uno dei luoghi meno autentici e più artificiosi che esistano, addirittura iper-reale com’è stata definita) possono aiutare questi processi di trasformazione. Processi che avvengono “dentro” la persona e non hanno a che fare con le caratteristiche del contesto;
  3. Altre persone: vivere un’esperienza insieme ad altri significa essere sostenuti e accompagnati nell’acquisizione della propria autenticità. A volte non bastano gli oggetti e le risorse: l’individuo non ce la fa a mettersi in discussione da solo e non riesce a provare un’esperienza autentica, a meno che non si trovi in gruppo (a un concerto, alla maratona di New York o in un trekking) con cui condividere un percorso. Qui scattano meccanismi tribali che consentono al soggetto di sviluppare una nuova forma di socialità e perciò di acquisire una nuova identità, anche se per un periodo limitato.

Questi tre piani possono agire a compensazione l’uno dell’altro: una scarsa autenticità delle risorse può essere compensata da rituali o forme di aggregazione tribale, ma non oltre un certo punto: una qualche coerenza tra le tre fonti deve essere garantita. Altrimenti si rischia di mettere a repentaglio la strategia del consumatore e rendere la sua esperienza di consumo oltremodo insoddisfacente. Qui sotto il breve video che abbiamo girato alla fine.

 

Bibliografia

  • Boorstin, D. 1961 The Image: A Guide to Pseudo-Events in America. New York: Harper and Row.
  • MacCannell, D. 1973. “Staged Authenticity: Arrangements of Social Space in Tourist Settings.” American Journal of Sociology 79 (3): 589-603.
  • Gilmore James H. and B. Joseph, II Pine (2007) “Authenticity: What Consumers Really Want”, Harvard Business School Press.
  • Cova B. 2003, “Il marketing tribale. Legame, comunità, autenticità come valori del marketing mediterraneo”, Milano, Il Sole 24 Ore
  • Carù A., Cova B. 2007. Consuming Experience. Routledge, London.
  • Cova V., Cova B. 2003. Les particules expérientielles de la quête d’authenticité du consommateur, Décisions Marketing, 28, pp. 33-42